La storia di Cà di Landino, una piccola frazione situata nel comune di Castiglione dei Pepoli, è indissolubilmente legata allo sviluppo infrastrutturale dell’Italia nel XX secolo, in particolare alla costruzione della ferrovia Direttissima Firenze-Bologna. Prima dell’avvio di questo ambizioso progetto ferroviario, Cà di Landino era un modesto villaggio di montagna, caratterizzato da poche abitazioni e da un tranquillo stile di vita rurale tipico delle comunità appenniniche.
Negli anni ’20 e ’30 del XX secolo, la frazione di Cà di Landino assunse un ruolo centrale nelle operazioni di costruzione della ferrovia Direttissima, una delle opere infrastrutturali più significative dell’epoca. Durante questo periodo, il piccolo villaggio si trasformò in un vivace campo base per il cantiere della Direttissima, diventando il punto di riferimento per centinaia di operai coinvolti nel progetto.
Inizialmente, gli operai alloggiavano in baracche di legno, strutture temporanee e spartane che riflettevano la natura urgente e pragmatica del lavoro. Col passare del tempo, queste baracche furono sostituite da edifici in muratura, più solidi e duraturi, segno di un insediamento più stabile e di un impegno a lungo termine nel progetto.
Il fulcro di questa trasformazione fu la costruzione della grande Galleria dell’Appennino, un tratto ingegneristico fondamentale per il percorso della Direttissima. Questa galleria, concepita per attraversare l’Appennino e collegare più efficacemente Firenze a Bologna, rappresentò una sfida ingegneristica di prim’ordine. Le operazioni di scavo per la realizzazione della galleria iniziarono nel 1921. Queste attività partirono proprio dal villaggio di Cà di Landino, procedendo in direzione degli imbocchi della galleria, e si conclusero nel 1929 dopo anni di lavori intensi.
La Direttissima, con la sua Galleria dell’Appennino, fu ufficialmente inaugurata il 22 aprile 1934, segnando la conclusione di un progetto che aveva radicalmente trasformato non solo il paesaggio fisico dell’Appennino, ma anche la vita e la storia della comunità di Cà di Landino. Il villaggio, una volta un tranquillo insediamento di montagna, era diventato un testimone chiave e un partecipante attivo in uno dei progetti infrastrutturali più ambiziosi del suo tempo.
Dopo il completamento dei lavori sulla Direttissima, il villaggio di Cà di Landino ha intrapreso un percorso di graduale declino. Con la fine dell’intensa attività legata alla costruzione della ferrovia, il villaggio ha iniziato a perdere la sua importanza come centro di lavoro e ingegneria, entrando in una fase di ristrutturazione e trasformazione. Nel periodo post-bellico, l’area di Cà di Landino ha trovato una nuova vita come sede di colonie estive montane, un cambiamento che ha portato un diverso tipo di vitalità alla regione.
Durante la Rivoluzione Ungherese del 1956, che ebbe luogo tra il 23 ottobre e il 10 novembre, la brutale repressione delle truppe sovietiche portò all’esodo di circa 200.000 ungheresi. Molte di queste persone fuggirono verso l’Europa occidentale in cerca di sicurezza e asilo.
In Italia, un primo gruppo di 2-3.000 profughi ungheresi arrivò a Bologna già tra l’8 e il 9 novembre del 1956. Seguendo questo, altri 3.480 rifugiati arrivarono in Italia fra il 22 novembre e il 17 dicembre. L’Italia allestì 16 centri di accoglienza per assistere questi profughi, fornendo alloggio, cibo e assistenza sanitaria. Durante questo periodo di crisi, Cà di Landino si trasformò in un rifugio per circa mille di questi profughi, attraverso l’organizzazione della Croce Rossa Italiana. Le strutture che in passato avevano ospitato gli operai del cantiere ferroviario furono adattate per accogliere i nuovi arrivati.
Nonostante questi sviluppi, negli anni successivi la popolazione di Cà di Landino ha continuato a diminuire. I cambiamenti demografici, economici e sociali hanno portato a un progressivo spopolamento dell’area. Nel 2023, Cà di Landino contava solo una ventina di abitanti, diventando così un testimone silenzioso dell’effervescenza industriale e sociale di un tempo.